Nell’ultimo podcast di dicembre dicevo che l’ONU è ostaggio dei 5 membri permanenti con diritto di veto e che la UE è ostaggio dei nazionalismi degli stati che la compongono. Le cose positive da dire sull’ONU è che dà da mangiare a milioni di esseri umani ogni giorno e che la UE la guerra non la vuole fare e propone sempre di negoziare. Il problema è che la geopolitica internazionale è gestita da pochi stati che agiscono o militarmente o in contrasto coi trattati, che pure hanno firmato, oppure al di fuori delle regole e delle convenzioni che interpretano a loro esclusivo vantaggio. Inoltre anche i caratteri delle personalità di alcuni leader hanno il loro peso.
I fatti recentissimi in Libia e nel confronto Trump-Iran sono stati le migliori prove a sostegno della mia tesi.
Per tranquillizzarvi affermo che nonostante i titoli dei quotidiani e i servizi TV non siamo alle soglie della terza guerra mondiale. E’ economicamente e elettoralmente più conveniente compiere piccole azioni di guerra, sempre ufficialmente in nome della pace, o sostenere attori locali che combattano per “noi”, magari contro “i terroristi” (che sono sempre gli altri). E come al solito un grave evento imprevisto (come l’abbattimento dell’aereo civile ucraino perché il sacro fuoco della vendetta acceca animi e occhi) farà calmare per un poco le acque. Si spera.
La legalità internazionale la fa il più forte o il governo che vuole rischiare nel forzare o interpretare le consuetudini facendo atti di forza e mettendo gli altri stati, cioè i pochi che contano in grado di muoversi, nella condizione di decidere se vale la pena agire con minacce o con azioni militari oppure limitarsi alle dichiarazioni retoriche (a volte non ci sono nemmeno quelle come nel caso della NATO sempre in silenzio contro la Turchia per le tre invasioni della Siria, nel 2016, 2018 e 2019).
Per essere onesti i leader che contano dovrebbero dire che in Libia il generale Haftar è la figura politica più coerente con il dichiarato principio di “stabilità” della cosiddetta comunità internazionale (cioè sempre i pochi stati che contano): meglio un leader “forte” che duri nel tempo (per i contratti economici e per il controllo dei migranti) che non sarebbe diverso da al Sisi in Egitto, dai monarchi del Golfo Persico, dallo stesso Erdohan, se quest’ultimo non fosse sempre più preso dalla presunzione rivendicativa neo-ottomana che crea qualche problema di immagine e nei fatti alle democrazie occidentali sue alleate.
Regimi autoritari come alcune monarchie del Golfo Persico, la Russia, l’Egitto appoggiano Haftar; con l’ambigua posizione della Francia che comunque ha riconosciuto geo-politicamente la leadership di Haftar (oltre a dargli discretamente qualche supporto concreto), e gli USA di Trump che non prendono posizione, ma il cui presidente telefona ad Haftar, anche perché va ricordato che il generale è diventato una ventina di anni fa un cittadino statunitense.
L’Unione Europea, nelle sue figure istituzionali e coerentemente l’Italia, rimane nei limiti formali delle dichiarazioni dell’ONU: cioè riconoscimento del governo di unità nazionale guidato da al Sarraj, divieto di fornire armi ai contendenti, cessate il fuoco e colloqui per una soluzione politica negoziata.
Banalmente lo stato di fatto è che alcuni membri dell’ONU non rispettano tali regole, anzi agiscono apertamente contro le dichiarazioni dell’ONU (che usano opportunisticamente se gli fa comodo come l’Egitto che protesta quando la Turchia agisce a favore di Tripoli quando loro lo fanno a favore di Haftar!). Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, unico organo abilitato ad intervenire, nemmeno si riunisce perché USA, Russia (e Francia) bloccano perfino la discussione del tema Libia.
In questo contesto la situazione al momento vede le forze del generale Haftar che, dall’offensiva lanciata nell’aprile del 2019, ha circa 4/5 della Libia sotto il suo controllo; anche se molte zone sono desertiche o poco abitate le sue forze sono le uniche che possono intervenire velocemente ed essere più consistenti di chi resiste. Il che vuol dire che controlla la gran parte dei pozzi petroliferi e di gas, che continuano a produrre fonti energetiche (con un ruolo importante dell’ENI italiana), che vengono regolarmente vendute dalla NOC, l’ente di stato con sede a Tripoli a cui unicamente si riconosce il diritto di vendere e incassare i soldi i quali ….. venivano passati anche ad Haftar e a pagare pensioni e stipendi della Cirenaica che è la sua base; almeno fino ad aprile 2019 quando è iniziato l’attacco del generale a Tripoli.
Questa è la questione di fondo: navi “internazionali” bloccano e rimandano indietro le petroliere che hanno provato a rifornirsi da Haftar pagando direttamente a lui. Si tratta di una guerra per la spartizione dei soldi del petrolio e gas che per la Libia, poco abitata, sono tanti. Finché non si vede scritto in eventuali accordi quanti soldi andranno alla Cirenaica e che ruolo istituzionale può avere Haftar nella futura Libia, non c’è speranza che siano firmati oppure che, anche se sottoscritti, durino nel tempo. I “nostri” interessi (cioè quelli dell’ENI”) si trovano prevalentemente nella Tripolitania (nell’ovest del paese), dove si trova anche il gasdotto che porta direttamente in Italia il gas libico; e siccome i gasdotti non si possono muovere la Libia può esportare gas solo verso o attraverso l’Italia. A meno che la Libia decida di iniziare a congelare il gas e a venderlo tramite navi, ma ci vogliono investimenti e tranquillità politica per farlo.
Haftar assedia Tripoli e le città o le zone delle milizie locali che appoggiano al Sarraj; soprattutto le milizie di Misurata, le più forti, e quelle di Zintan. In dicembre sembra che le forze del generale siano riuscite ad essere più efficaci grazie anche all’aiuto dei mercenari russi di una compagnia privata, la Wagner. Vedete? Formalmente la Russia può dichiararsi a favore dei negoziati e del cessate il fuoco, perché dice che i mercenari sono altra cosa e la Russia non c’entra. A questo punto il presidente turco Erdohan fa approvare dalla maggioranza volontariamente asservita del parlamento turco (dopo che ha incarcerato molti deputati dell’opposizione) l’invio di armi, milizie (quelle siriane [e jihadiste] di Idlib in Siria, che sono sotto attacco di Assad e dei russi) e militari turchi, definiti “istruttori”. Contro le dichiarazioni dell’ONU, contro lo statuto della NATO, e in cambio di un accordo con Sarraj sullo sfruttamento dei fondali del Mediterraneo che esclude gli interessi legali riconosciuti di Cipro e della Grecia.
Il paradosso è che al Sarraj è sostenuto da milizie musulmane idealmente vicine ai Fratelli Musulmani, che Haftar definisce terroristi islamici, dalla Turchia musulmana e dal Qatar emirato musulmano del Golfo Persico, mentre il generale è sostenuto dall’Egitto musulmano, dagli Emirati e dall’Arabia Saudita musulmani oltre che indirettamente e discretamente dalla Russia (cristiana ortodossa e anche atea), oltre che ancor più discretamente da USA e Francia che storicamente si sono proposti e ancora pretendono di essere i migliori esempi di separazione tra stato e religione in politica. E la recente dichiarata conquista della città di Sirte sembra sia dovuta al cambio di schieramento della Brigata 604 che ha consentito ad Haftar di avanzare; Roberto Bongiorni sul Sole24 ore del 10 gennaio ricorda che la Brigata 604 ha miliziani salafiti, più rigidi nell’interpretazione dell’islam rispetto ai Fratelli Musulmani (appoggiati dalla milizia di Misurata) e che quindi Haftar dovrebbe considerare ancor più “terroristi islamici” degli altri. Ma Haftar già usa alcune milizie salafite tra le sue truppe.
Visto che Tripoli non gli dà i petrodollari come fa Haftar a combattere? Russia, Egitto (e un po’ la Cina come semplice venditore per esempio di droni, come vende i gommoni ai trafficanti di migranti) ci mettono le armi e Arabia Saudita e Emirati ci mettono i soldi. La Francia qualche supporto tecnologico sofisticato. Dalla parte di Tripoli la Turchia ci mette le armi e il Qatar i soldi.
Così ora la Libia è divisa in due parti, anche tre se consideriamo che i territori del sud sono in realtà controllati dalle milizie tuareg a sud-ovest e dalle tribù localmente nomadi a sud-est che decidono di allearsi con il maggior offerente di vantaggi economici. Dal mio punto di vista la gabbia mentale geopolitica della cosiddetta “integrità territoriale” crea sempre più danni e ricadute negative soprattutto sulla popolazione civile; in questo caso è l‘idea che la Libia debba o possa essere solo “una” per essere stabile e pacifica, non tenendo conto, come al solito, della storia, della geografia, dei gruppi umani che vivono in quello specifico territorio. Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, rispettivamente autonome che si dividono la torta della rendita petrolifera potrebbero essere più disposte a cooperare in una Libia federale o, meglio ancora, confederale.